L’idea era balenata tra i blues del tardo R.L. Burnside ed apprezzabili intuizioni al riguardo riempivano dischi come Play di Moby o Orange della Jon Spencer Blues Explosion, ma oggi sono gli Algiers a sradicare definitivamente la black music dalla sua etimologia e ad indicarne il futuro attraverso un suono che mette insieme gli slogan delle Pantere Nere e lo sballo della tecno londinese, il soul della Motown e il disagio dei Bad Brains, Prince e i Suicide, sermoni gospel e rumorismo sperimentale con lo spirito di chi non ha niente da perdere.
Al contrario la posta in gioco è piuttosto alta, magari non davanti alle poche centinaia di persone presenti al Santeria Social Club di Milano lo scorso 26 giugno, ma davanti alle moltitudini che si raduneranno sotto al palco dei Depeche Mode, di cui gli Algiers apriranno i prossimi concerti: un’occasione che la band di Atlanta, Georgia, ha meritato grazie alla pubblicazione di The Underside of Power, che già si attesta come uno dei dischi più eccitanti della stagione e addirittura supera le aspettative suscitate dal folgorante esordio omonimo del 2015.
In ogni caso, cento o centomila, per gli Algiers non sembra fare alcuna differenza, visto la carica, la passione e la travolgente energia che hanno messo in mostra sul palco del Santeria Social Club nel corso di uno show febbricitante e voodoo, che ha evidenziato la direzione ancora più sporca, contaminata e nervosa intrapresa dalla band con l’ultimo lavoro di studio. A vederli sembrano magari una compagnia male assortita, considerando l’aria stranita da skater strafatto del batterista Matt Tong o le pose plastiche da DJ alla moda del bassista Ryan Mahan, ma ogni perplessità svanisce non appena comincia il concerto, liberando tutto il carisma e lo splendido shouting soul del frontman Franklin James Fisher e le invenzioni free del chitarrista Lee Tesche, il quale non mette in fila due note nemmeno per sbaglio, ma scarica bordate di feedback e distorsioni, maneggiando bacchette, archetti e coperchi come uno stregone.
Nell’economia del concerto, l’elettronica ha un’importanza non relativa considerando i vari samples e loops innescati da Fisher e tutti gli effetti e i beat generati dalla consolle manovrata da Mahan, ma è un elemento solo parallelo e del tutto complementare agli strali rumoristici delle chitarre, alle poderose scariche di tamburi, alle pulsazioni di un basso sempre in crescendo e soprattutto ad un cantato sempre espressivo ed intensissimo, sospeso tra calore soulful e furia punk. La combinazione di antichi spettri blues, ululati gospel, schegge hardcore, ritmi rave, lame noise, ruvidezze garage e sciamanismo psichedelico scatena un disturbante pandemonio elettrico che esplode in canzoni di grande impatto sonico come Old Girl, Walk Like a Panther, The Underside of Power, Blood, Claudette, Black Eunuch, In Paralax o la splendida Remains e si placa solo per l’esecuzione di due ballate venate di soul come Hymn For An Average Man e Mme Rieux.
La dimensione ideale per un loro concerto sembra proprio quella più raccolta di un club, ma se il tenore dovesse rimanere quello mostrato al Santeria Social Club, gli Algiers potrebbero benissimo riuscire a far ballare le platee degli stadi che li attendono e per un un’attimo far dimenticare al pubblico le celebrità per cui ha pagato il biglietto.