Abbiamo dovuto attendere un bel po’ di tempo – fate conto che questo concerto è stato tra i primi ad essere spostato a causa della pandemia e in origine doveva tenersi all’Ohibò di Milano, oggi purtroppo ormai chiuso – ma alla fine gli Algiers hanno finalmente recuperato la loro data milanese. Oddio, non so quanto oggi potranno serbare un bel ricordo di una serata fino a un certo bellissima, ma che alla fine si è conclusa col furto da parte d’ignoti di buona parte della loro attrezzatura, come testimoniato da un accorato invito pubblicato via social in cui chiedevano di far pervenire loro qualsiasi notizia utile atta al recupero della stessa, pena la messa in forse della prosecuzione del tour. Un duro colpo che non ci voleva, particolarmente infame visto che non è che parliamo di superstar mondiali, ma di artisti che, presumibilmente con il loro carico di difficoltà, cerca di portare avanti il proprio messaggio musicale.
Un brutto epilogo per una serata che invece era partita benissimo. Il Biko, la nuova sede prescelta, è abbastanza pieno e nell’aria si respira quell’elettricità tipica degli eventi a cui non bisogna mancare. Del resto, la musica degli Algiers è già fiammeggiante su disco e dal vivo, chi li ha visti lo sa bene, diventa ancora più potente, febbrile quasi.
Con loro stasera c’è un uomo in più, uno che ha tutta l’aria di essere un roadie tirato su sul palco a suonare qualche percussione, fare qualche controcanto, prendere in mano il basso ad un certo punto del concerto, più che un vero membro aggiunto. Sta di fatto che on stage sono stipatissimi, ma questo non limita il tasso d’energia che subito esplode quando attaccano con una tripletta killer quale Void, Cleveland e Cry Of The Martrys, clamorosi concentrati di music black incistata su furiose scansioni post punk dalle propaggini lancinanti.
Frankin James Fisher è un cantante di vaglia, ha nella sua ugola secoli d’ingiustizie contro cui reagire a botte di enfasi soul e gospel. Si divide fra chitarra e tastiere e ci sono momenti in cui la furia liberatoria che esprime è tale da farlo sembrare un tarantolato. Alle linee black delle melodie si contrappongono le trame musicali feroci e taglienti della musica, con un chitarrista come Lee Tosche che pare più un alchimista intento a tirare fuori lancinanti rumori dalla sua sei corde che altro, capace di armeggiare in continuazione sui pedali, loop station, persino pezzi di chitarra modificata armata con molle e senza manico. Potentissima poi la sezione ritmica, con un Matt Tong impetuoso dietro le pelli e Ryan Mahan a dividersi tra basso, suonato con gran perizia tecnica, tastiere, loop.
Ovviamente la scaletta è basata quasi interamente sui pezzi dei loro tre dischi, ma Fisher ha anticipato l’uscita di un nuovo album per l’autunno, da lui stesso definito “il miglior album che sentirete nel 2022”. Ovviamente ci contiamo! Sfilano così devastanti versioni di The Underside Of Power, Walk Like A Panther, Animals, Blood, Death March fra le altre, per quasi un’ora e mezza di show che è sfilata come una bomba atomica sonora sparata sugli astanti.
Poi, più tardi, il triste epilogo di cui dicevamo, un intoppo che non doveva esserci e dal quale spero si riprendano con facilità. Grandissima band!