Non una giornata calda come quelle che l’hanno preceduta, ma atmosfera comunque rovente nella Palestra Visconti all’Arci Bellezza di Milano, la sera del 23 aprile. A renderla tale, la buona affluenza di pubblico e un programma che prevede tre diversi show, non certo fatti di amorevoli carezze.
Aprono i veneti Ananda Mida, collettivo dalla formazione variabile guidato da Max Ear (già batterista degli OJM e direttore artistico della Go Down Records) e Matteo Pablo Scolaro, membri fissi di una band che può configurarsi come trio, così come sestetto, fare musica strumentale, così come cantata. Autori di tre album che assieme compongono una trilogia (Anodnatius, Cathodnatius e Reconciler, quest’ultimo uscito a fine 2023, recensito da Daniele Ghiro, in Backstreets, sul Busca di novembre), qui erano in cinque, con assetto voce, due chitarre, basso e batteria. Heavy psichedelia massiccia e visionaria, scolpita perfettamente dal clash fra due chitarristi abbastanza diversi fra loro (uno più scatenato e rumoroso, l’altro più liquido e lisergico), supportata da una sezione ritmica potente e pulsante e resa credibile da un cantante dalla voce efficace e dalla presenza scenica adeguata. Non li conoscevo, devo dire davvero ottimi.
Se però sono qui stasera, è soprattutto per The Devils. Seguo il duo napoletano fin dalle prime cose su Voodoo Rhythm ma, incredibile a dirsi, fino a oggi non ero mai riuscito a intercettarli dal vivo, alla fine la dimensione ideale per band di questo tipo. E infatti, sia pur più morigerati rispetto a certi racconti che m’erano stati fatti, il loro è stato un show comunque selvaggio e divertente. Luci rosse infernali fisse, vestiti interamente in pelle nera, Erika Switchblade (voce e batteria) e Gianni Blacula (chitarra e voce) sanno come tenere il palco, ovvero utilizzando ben poche parole, ma tanta furia rock’n’roll fusa a blues al fulmicotone. La sporcizia noise col tempo si è dissipata, ma comunque la loro non è musica per educande. Erika è una cantante ancor più convincente di quanto credevo, nonostante sia impegnata costantemente a picchiare sulle pelli come un’ossessa, mentre Gianni è soprattutto il master dei Riff, oltre che un valido supporto con la voce. Loro ci danno dentro di brutto coi loro pezzi, ma per rendere definitivamente memorabile il tutto, probabilmente sarebbe stata necessaria una partecipazione un po’ più scatenata da parte del pubblico. Anyway, grande rock band, pungente e spassosa.
Infine, vero titolare della serata, Alain Johannes, che dei Devils è stato produttore e collaboratore negli ultimi due dischi. Devo ammettere che io lo conoscevo soprattutto nelle vesti di produttore e musicista per altri, appunto, avendo negli anni collaborato con tipi come Mark Lanegan, i Queens Of The Stone Age, PJ Harvey, Chris Cornell, Them Crooked Vultures e gli Eagles Of Death Metal, tra i tanti. In realtà, però, oltre ad aver fatto parte degli Eleven, band alt-rock attiva tra gli anni 90 e i primi 2000, nei quali era cantante e chitarrista, e di qualche altra formazione meno duratura, dalla sua ha pure una carriera solista, che credo conti a oggi almeno tre titoli.
Non essendo troppo addentro alla sua discografia – al contrario di molti del pubblico che ne conoscevano assai bene le canzoni, spesso cantandole assieme a lui – non mi posso sbilanciare troppo sui titoli. Nella prima parte del suo concerto si è esibito in acustico, dividendosi tra una cigar box guitar e una più classica acustica, mostrando una voce rauca, ma svettante, da consumato storyteller. Tutto bello, ma non conoscendo i pezzi, non posso aggiungere molto altro. Più interessante, alle mie orecchie, la seconda parte, intanto perché raggiunto sul palco dai due Devils a fargli da backing band, e poi perché così ha avuto modo ancor di più di dimostrare di essere un buon manico, anche elettrico, recuperando pezzi degli Eleven (sicuramente Reach Out), ma anche cose estratte dalle Desert Sessions, come la Hangin’ Tree dei Queens Of The Stone Age e Makin A Cross, entusiasmando non poco.