In un articolo di molti anni fa dedicato a Bruce Springsteen, il nostro Mauro Zambellini chiudeva evidenziando il fatto che mai nessuno, come Bruce, aveva prima di allora inserito così tanto la vita vera tra le note di un pentagramma. Se c’è uno, nell’Italia degli ultimi venticinque anni, di cui si potrebbe dire la stessa cosa, quantomeno nelle pagine migliori della musica dei suoi Afterhours e sicuramente a modo suo, quello è Manuel Agnelli. Lo dimostrano le tante frasi sparse per la loro discografia che ti pare possano aderire alla tua pelle, la verità che hai sempre la sensazione di trovarci dentro, il modo stesso in cui il pubblico sembra farle proprie, evidentissimo quando poi le canta in concerto.
Non fa eccezione il nuovo, bellissimo album, quel Folfiri o Folfox nato in seguito alla perdita del padre e sulla perdita e la malattia (ma non solo) capace di andare come sempre in profondità e oltre la banalità dei luoghi comuni. Ancora fresco di stampa, ora gli Afterhours lo stanno portando in tour, in una serie di concerti estivi nelle grosse arene, a cui probabilmente seguirà qualcosa di un po’ diverso tra autunno e inverno. A Milano sono passati dal Market Sound, la stessa sede che qualche giorno dopo avrebbe visto sfilare Neil Young in un concerto a dir poco stratosferico.
Grande concerto, però, anche per la band milanese. Era solo la terza data del tour ma, tolto qualche piccolo problema nel sound giusto all’inizio, poi prontamente risolto (e lo stesso Agnelli ha ringraziato i tecnici per la loro pazienza e professionalità), sono parsi decisamente determinati, potenti, in gran forma, insomma. Del resto, l’innesto di due musicisti come Stefano Pilia alla chitarra e Fabio Rondanini alla batteria ha portato alla formazione nuova linfa vitale, accrescendo un’amalgama fatto già di grandi personalità e ottimi musicisti.
Inizio tutto dedicato al nuovo album (Grande, Ti Cambia Il Sapore, Il Mio Popolo Si Fa, una commuovente Non Voglio Ritrovare Il Tuo Nome), le cui canzoni si sono perfettamente inserite in mezzo ai classici e ai vecchi brani della band. La sensazione è stata quella di una scaletta organica, di una serie di brani legati fra loro a dipingere una sorta di grande affresco. Tra le cose nuove, particolarmente toccanti sono parse L’odore Della Giacca Di Mio Padre, Fra I Non Viventi Vivremo Noi, Se Io Fossi Il Giudice, il momento di furiosa distorsione Cetuximab. Tra le cose vecchie, una sempre clamorosa Costruire Per Distruggere, Ballata Per La Mia Piccola Iena, ovviamente pezzi immancabili come Male Di Miele, Non è Per Sempre, Quello Che Non C’è.
Ma, come dicevamo, è stato proprio nel suo insieme che il tutto si è profilato come un grande show, senza alcun momento di cedimento. Due ore di grande musica, insomma, chiuse come meglio non si potrebbe da una vigorosa e visionaria Bye Bye Bombay. Poi tutti a casa rinvigoriti e arrivederci alla prossima volta.