Foto © Mauro Zambellini

In Concert

Aaron Brooks live a Legnano (MI), 19/1/2025

Nella penuria ormai irreversibile di luoghi per la musica dal vivo, non parlo dei pub specializzati in cover band interessati ad incrementare la vendite di birra e panini, a sorpresa spuntano dei fiori nel deserto come il Centro Pertini il Salice di Legnano, che ha aperto i propri spazi a teatro e concerti. Singolare la scelta di iniziare invitando un songwriter fuori dai normali circuiti del rock e del blues come Aaron Brooks, nativo di Ravenna nell’Ohio, ma da diversi anni in pianta stabile a Monaco di Baviera.

Il suo cammino è quanto mai singolare: dopo aver dato vita in terra americana alla band psichedelica dei Simeon Soul Charger, durante una esibizione in un club di New York fu avvicinato da due turisti tedeschi che, impressionati dalla sua performance, lo invitarono a raggiungere, pagandogli volo e alberghi, la Germania per alcune date. All’arrivo all’aeroporto di Monaco, Aaron Brooks si è trovato di fronte un gruppetto di fans inneggianti con cartelli al suo nome, una vera sorpresa per il nostro che ignorava del tutto di essere conosciuto al di fuori dell’Ohio e qualche città americana. Alcune date si sono trasformate in un tour con musicisti locali e di conseguenza la Germania è diventata la sua seconda patria, tanto che nel 2018 ha registrato a suo nome il suo primo disco solista, Homunculus, dal quale ha estratto diversi titoli presentati nella serata legnanese.

Con lui sul palco tre musicisti portati da Monaco, basso, batteria e tastiere, e il bravo chitarrista italiano Christian Draghi, già autore di album a suo nome. Quello che si è visto e sentito al Centro Pertini è stato uno show depistante per quanti sono abituati ad esibizioni di songwriters di natura rock, perché Brooks con le sue canzoni non ha cavalcato la solita filiera Dylan/Young/Cohen, ma si è addentrato in un suono tra acustico ed elettrico, dove hanno meravigliato i decorsi tortuosi delle canzoni con intrecci atonali, schiamazzi elettrici e pause acustiche, contrappunti ritmici a zig zag, una varietà tematica che ha sortito l’effetto di creare curiosità verso una musica mai scontata e imprevedibile, a tratti anche di non facile assimilazione.

Un pregio per una scelta originale; se difatti i suoi punti di riferimento sono Bowie, Lou Reed, i Radiohead, in molti momenti della sua esibizione ho avvertito quel clima inglese, tra folk-rock e altro, un tempo masticato da Robyn Hitchcock (è il caso di Consume) oppure, quando il decor ha assunto toni più dark, lo scomparso Nikki Sudden.

Spiazzante Aaron Brooks lo è stato anche nel look, del tutto somigliante a Chris Robinson dei Black Crowes sulla copertina di The Southern Harmony and Musical Companion, ovvero capelli lunghi, camicia hippy, cappellaccio, stivali e pantaloni a zampa, e non da meno era Christian Draghi, capelli lunghi, basettoni e un raffinato tocco chitarristico con un Maison, una imitazione della Gibson 335, che contribuiva con raffinatezza e misura a colorare le canzoni di Brooks.

Le quali si sono divise tra carezzevoli melodie folk-rock (bella in tal senso You’re Just a Picture in a Frame) dove si facevano sentire le tastiere, ballate esaltate dalla voce forte, autorevole e roca dell’autore, divertenti vaudeville (Bodega, Bodega), frizioni elettriche avantgarde riconducibili al Bowie berlinese (Wake Up the Mountain), galoppate psichedeliche ai limiti della jam e nenie rock (Jesus) pronte ad aprirsi a nervosi schizzi elettrici e all’urlo.

Ogni canzone è stata presentata dall’autore e tradotta istantaneamente da Draghi, valore aggiunto di una performance che ha raccolto apprezzamenti e applausi, un bel segnale per il proseguo dell’attività live del Centro.

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