AA. VV.
The Complete History Of Country Music 1923 – 1962
4CD, Proper
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Naturalmente la «completezza» promessa dal titolo è solo un’illusione didattica, perché sviscerare la storia della musica country dagli anni ’20 di John Carson, Dave Mason o Charlie Poole, quando le musiche delle comunità rurali venivano ancora classificate ricorrendo al peggiorativo hillbilly («montanaro») per sottolinearne le umili origini, al Willie Nelson, alla Loretta Lynn o alla Dolly Parton di trent’anni dopo, periodo in cui la riscoperta della tradizione folk aveva invece assunto la fisionomia di una ricerca assai rispettata e sovente altrettanto redditizia, richiederebbe ben più di 4 CD e 100 canzoni. I quali, tuttavia, sono sufficienti, e se non completi senz’altro attendibili, a delineare una panoramica scontrosa, ironica, decisa, testarda, a volte laconica e a volte sensuale, più spesso disperata, inquieta e malinconica sulle ramificazioni e le storie, i pionieri e gli apostoli, i personaggi e le stelle di un genere un tempo considerato «il blues dei bianchi» (è stato un bluesman del Mississippi, Mark “Mule Man” Massey, a chiamare Jimmie Rodgers «una versione bianca di Robert Johnson») e oggi troppo spesso ostaggio di multinazionali e artisti creati in laboratorio, ahimè impossibili da distinguere rispetto a un qualsiasi prodotto pop scientemente preconfezionato, a colpi di romanticismo stucchevole e suoni melliflui, per solleticare il maggior numero di palati.
The Complete History Of Country Music 1923-1962, curato con amore, pazienza e ineffabile spirito pedagogico dalla sempre valida Proper, copre un arco di stili che va dal pionieristico country-blues di Frank Hutchinson, presente con la slide countreggiante di una Worried Blues incisa per la Okeh nel 1926, nonché sicura influenza per altri artisti bianchi dalla decisa impronta bluesy quali, appunto, Jimmie Rodgers (Blue Yodel No.1 (T For Texas), 1928) o Hank Williams (I’m So Lonesome I Could Cry, 1949), alla dizione elegante e forbita, ma all’occorrenza incisiva, di un ancora giovanissimo Glen Campbell (Long Black Limousine, 1962).
Tra i due estremi, in ordinata sequenza cronologica e, per quanto possibile, «tematica» (il primo CD è dedicato al country straccione, pezzente e operaio dei primordi, il secondo ai cowboys del Sud e alle prime ibridazioni con lo swing, il terzo ai grandi maestri e innovatori degli anni ’50, il quarto alle nuove generazioni del dopoguerra), a nomi celeberrimi, da Johnny Cash (Folsom Prison Blues, 1955) a Patsy Cline (Walkin’ After Midnight, 1956), da Bill Monroe (Blue Moon Of Kentucky, 1946) all’attore Burl Ives (A Little Bitty Tear, 1961), si alternano quelli poco conosciuti dei Texas Ramblers di Archie “Prince” Albert Hunt (Wake Up Jacob, 1929), tra i prototipi del western-swing (li riportò alla luce Harry Smith nella sua Anthology Of American Folk Music [1952]), o quelli divertenti sebbene un po’ effimeri dei pur deliziosi Light Crust Doughboys (Pussy Pussy Pussy, 1938), formazione in cui esordirono pesi massimi come Bob Wills (Faded Love, 1950) e Milton Brown (Down By The O-H-I-O, 1935) ma nata dalle necessità imprenditoriali di W. Lee “Pappy” O’Daniel, futuro governatore del Texas allora intenzionato a promuovere alla radio i farinacei della Burrus Mill and Elevator Company da lui diretta (James Talley ne racconterà con affetto e umorismo la storia in W. Lee O’Daniel And The Light Crust Doughboys, prima canzone dell’ancora splendido Got No Bread, No Milk, No Money, But We Sure Got A Lot Of Love [1974]).
Può darsi non ci sia lettore di questa rivista del tutto alieno alle credenziali della Carter Family (Wildwood Flower, 1928), al bluegrass a rotta di collo di Flatt & Scruggs (Foggy Mountain Breakdown, 1950), al fraseggio essenziale e intriso di erotismo di Kitty Wells (It Wasn’t God Who Made Honky Tonk Angels, 1952), ai racconti western del grande Marty Robbins (El Paso, 1959), all’impeto rockista di Buck Owens (Under Your Spell Again, 1959) o alla voce inconfondibile di George Jones (White Lightning, 1959), ma quanti conoscono, per esempio, Amédée Breaux, fisarmonicista cajun della Louisiana cui spetta il primato, assieme ai fratelli Ophé (chitarra) e Cléopha (violino) di aver registrato la più antica versione del valzer Ma Blonde Est Partie, risalente al 1929 e meglio noto come Jolie Blonde o Jole Blon?
The Complete History Of Country Music 1923-1962, anche in virtù del prezzo accessibile e di diverse scelte interessati nel redigerne la scaletta (penso all’inclusione di Mexico, successo strumentale del 1961 accreditato a Bob Moore, il bassista del Nashville A-Team dietro ai dischi di Elvis, Jerry Lee Lewis, Bob Dylan e moltissimi altri), saprà intrattenere sia l’esperto sia il neofita, ai quali certificherà il dinamismo di un genere a torto ritenuto statico da chi, molto semplicemente, ne conosce solo gli aspetti più esteriori e gli esponenti più reazionari. Un unico dispiacere: che operazioni simili, inattaccabili sotto ogni punto di vista, le sappiano ormai confezionare soltanto gli inglesi (o al limite i tedeschi).