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A trip to Hergest Ridge

Compie 50 anni Il secondo disco di Mike Oldfield, dopo l’esordio col botto di Tubular Bells, e siamo andati a festeggiarlo con chi conosce bene, molto bene, opere e storia del grande musicista britannico.

Sono un grande fan di Mike Oldfield? No, ma quanto fatto da questo precocissimo talento, diciamo dal suo famoso esordio, sino a tutta la prima metà degli anni ’80, ha saputo (spesso) appassionarmi; dopo, devo dire, l’ho seguito più distrattamente, anche se alcune belle sorprese non sono mancate neanche negli anni a venire.

Quindi: che ci vado a fare a Gladestry, piccolo paesino sperduto nella campagna gallese, giusto oltre il confine con l’Inghilterra, per un weekend di festeggiamenti del 50esimo compleanno di Hergest Ridge? Beh, capita che uno dei rappresentanti più conosciuti,a livello nazionale e non solo, del MO Fan Club Italiano, Paolo Cremona, sia un mio amico sin dai tempi delle superiori (parecchi decenni fa, come facilmente intuibile) e che sia lo stesso Paolo a invitarmi a unirmi a un piccolo gruppo di fan, così, per vedere l’effetto che fa. E ci vado.

Il disco è bello, opera sofferta parecchio dal suo autore, dopo un esordio col botto e una botta di notorietà che, a vent’anni d’età, avrebbe spiazzato e destabilizzato chiunque. HR forse non regge le Campane Tubolari e, per i miei gusti, è un po’ inferiore al successivo, bellissimo, Ommadawn, ma è opera molto ispirata che ha dalla sua, rispetto alla prova d’esordio, una maggior omogeneità stilistica, parecchio ispirata, nella sua atmosfera bucolica, folkeggiante, dallo straordinario luogo in cui è stato concepito, che è proprio questo lembo di terra fatto d’erba, alberi, pecore, vento, verde, grigio e rumori solo lontani, che sì, lo ammetto, mi ha stregato.

Qui la dimensione appare diversa: niente clacson, semafori, gente che impreca, i mazzi di chiavi si lasciano sulla toppa delle porte, ci si saluta e ti sorridono, un altro mondo. E forse bisogna stare in un altro mondo, come facciamo nel chiuso delle nostre stanze, magari con luce soffusa, per ascoltare questa musica, brani strumentali di 40-50 minuti, un mondo dove la soglia d’attenzione non decade nel giro di un amen.

Viaggiare significa fare amicizia, vivere le novità e sorprese con entusiasmo, questi sono i presupposti che credo ognuno metta in lista prima della partenza. Qui tutto ha funzionato e con Paolo, Alex, Robi, Ivana, per citare coloro che di Mike sanno tutto, per passione, per amore, ho passato 2 giorni bellissimi. Sabato 28 settembre si parte dalla visita di The Beacon, a Kington, la casa in cui Mike visse e concepì l’album, a sua volta divenuta leggendaria e ora aperta al pubblico grazie alla disponibilità del nuovo proprietario.

Più tardi ci tuffiamo nel pomeriggio realmente denso di musica, suonata da musicisti splendidi che hanno ripercorso alcune delle cose più belle di Mike Oldfield. Presso la Gladestry Village Hall, abbiamo così ascoltato la performance al piano di Ryan Yard, davvero bravo e, senza togliere niente a nessuno, soprattutto a quella dei The Sentinels, cover band spagnola che mi ha davvero stregato nella riproposizione di Tubular Bells, e ancor più in quella di Hergest Ridge e tanto altro ancora. Musicisti di passione e bravura davvero al di fuori del comune: se vi capitano a tiro, non perdeteveli, a partire dall’eccellente chitarrista Manu Herrera. Ottimo anche il duo di chitarristi Alvarez/Salazar, che, come i bravi Robert Reed e Martin Crossin, sono anche intervenuti a supportare l’esibizione del gruppo.

Difficile poi descrivere bellezza ed emozioni provate il giorno successivo, il 29 settembre: la passeggiata verso il promontorio di Hergest Ridge, poco meno di 10 km tra andata e ritorno, ha riacceso buona parte dei sensi che si hanno a disposizione: i profumi della natura, i colori straordinari di un autunno lì oramai avanzato, la musica della lunga suite omonima di Oldfield in sottofondo che qualcuno ha, giustamente, e delicatamente, provveduto a farci ascoltare in alcune parti della passeggiata.

Molto interessante anche il pomeriggio, dove, tra gli altri, si è notata la presenza di alcune figure legate a doppio filo alla carriera di Mike e soprattutto ai suoi primissimi passi e successi. Capita così di incontrare una figura dolce, e un po’ affaticata dal tempo che fugge, come Tom Newman, coproduttore con Mike dei primi due album e indimenticato primattore anche del primo album di Hatfield and The North, Leslie Penning, a sua volta collaboratore di Oldfield all’epoca di Ommadawn, ma anche il sound engineer del tempo, Philip Newell che, oltre a presentare un suo libro autobiografico nuovo di zecca, Gaining my Virginity, ci ha regalato la chicca di ascoltare una versione orchestrale di Hergest Ridge, che il famoso Richard Branson aveva richiesto, alla luce di possibili cedimenti di passo dell’allora giovanissimo artista inglese, davvero sfiancato da tanto lavoro e tanto successo in un brevissimo lasso di tempo.

La giornata finisce con sorrisi, abbracci e tanta emozione che, in tutta onestà, ha contagiato anche me, quasi un imbucato e uno spettatore distratto, davanti a tante persone che condividono la stessa passione. Ai lettori ricordiamo che di Hergest Ridge è uscita una recente versione per il Record Store Day, contenente le demo sessions del disco stesso. Agli oramai distratti dal tempo passato, un pò come me, il suggerimento è quello di un riascolto di queste opere. Ne vale la pena, eccome.

Personalmente, due giorni di vita preziosa già trasformata in ricordi, ringrazio i miei compagni di viaggio e gli organizzatori dell’evento, riuscito in modo impeccabile. Sono un Fan di Mike Oldfield? La risposta è ancora no, ma lo sono della bella musica, dell’amicizia e delle emozioni che provi quando ti tuffi in un altro mondo, ritrovandoti più vivo e più ricco di quel che non si può comprare.

P.S.: Grazie a tutti gli amici presenti all’evento per alcune foto utilizzate per questo articolo.

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