Non c’è purtroppo la folla che era lecito attendersi al concerto di A.A. Williams al suo esordio italiano come headliner, nonostante da più parti, Busca compreso, del suo secondo album As The Moon Rests si sia parlato molto bene e sia uno di quei dischi capaci d’intercettare pubblici anche molto diversi fra loro, sia esso quello del cantautorato venato d’umori dark, degli umbratili scenari wave e persino delle bordate di rumore chitarristico dalle ascendenze metal.
Eppure al Bloom non sono forse neppure un centinaio le persone che accorrono, e questo nonostante il club sia uno di quelli storici in Italia (che un tempo, ricordo, era pieno quasi sempre a prescindere, soprattutto, come in questo caso, nel weekend, essendo un classico luogo di ritrovo per i ragazzi del posto), i gestori stiano provando ad anticipare l’inizio dei concerti ad orari decenti e non più a nottata inoltrata e il programma di stasera preveda di fatto un doppio show.
In apertura di serata c’è infatti l’esibizione di un’altra cantautrice capace di muoversi in situazioni diversificate: parlo della svedese Karin Park, che molti di voi probabilmente ricorderanno come tastierista e cantante d’eccezione negli Årabrot di Kjetil Nernes, ma anche come collaboratrice del musicista elettronico gallese Lustmord, oltre che autrice di una discografia in proprio composta da diversi titoli.
L’ultimo di questi, il bellissimo Private Collection, è uscito su Pelagic Records proprio nel 2022 ed è quindi un piacere trovarla qui stasera a proporcene le canzoni. Disco più intimo e sofferto di quelli precedenti, meno propenso a quell’electro pop che spesso aveva caratterizzato la sua musica in passato, proprio il nuovo lavoro ha fatto da ossatura portante ai 45 minuti sui quali è stata sul palco.
Sopra di esso, Karin in realtà c’è stata solo sull’ultimo dei pezzi eseguiti, la bellissima e intensa Blue Roses, suonata con un pump organ di colore bianco e vecchio più d’un secolo, un tipo di strumento del quale si è definita una collezionista. Il resto dello show l’ha fatto invece in mezzo al pubblico, invitato ad avvicinarsi a lei, attorniata dal suo ricco set di synth e da una coreografia semplice ma suggestiva, creata con dei grossi globi luminosi.
Inizio atmosferico e avvolgente con pezzi come Enwined, Traces Of Me e le bellissime Opium e Bending Albert’s Law, tutti brani che ne mettono in risalto la bellissima voce, per poi muoversi verso cose più ritmate e dinamiche, decisamente più electro pop, come Out Of The Cage, Thousand Loaded Guns e Tokyo By Night, quest’ultima tratta dal nuovo disco e unica esplorazione di questo tipo di sound lì contenuta. Uno show emozionante e molto bello, ben retto dalla presenza magnetica di Karin, che non ha mancato di rimarcare l’importanza di supportare gli artisti indipendenti anche comprandone i dischi e che alla fine è stata raggiunta dalla figlioletta che le è saltata al collo urlando mamma!
Mezz’ora d’attesa per il cambio palco ed è la volta di A.A. Williams, accompagnata da una band di tre elementi a chitarre/tastiera, basso e batteria, con lei a voce e chitarra. Come dicevamo all’inizio la musica della cantautrice si muove in un territorio in cui si mescolano drappi oscuri da wave Gothic, crescendo e scoppi di distorsione al limite del Doom o delle muraglie sonore swansiane, il tutto però inserito in un contesto che rimane per sommi capi da canzone d’autore (spogliate di tutto quello sarebbero).
Dal vivo la potenza di suono e l’enfasi sonora di molti pezzi raggiungono il pieno compimento, come mettono subito in chiaro pezzi come l’epica Hollow Heart, la darkeggiante Evaporate e la malinconica, ma sferzante Murmur suonate a inizio concerto, a ripetere la stessa sequenza iniziale di As The Moon Rests.
Il grosso del repertorio suonato viene proprio dall’ultimo disco, ma questo viene intervallato da brani vecchi come Belong e Control tratte dall’EP intitolato col nome della cantante e dalla bellissima Love And Pain, tratta invece dal primo album Forever Blue.
La struttura dei brani è piuttosto simile – inizio avvolgente e pacato, con la voce accarezzata da accordi di chitarra o piano, il tutto seguito da una successiva esplosione sonora di chitarre distorte, a portare a un livello successivo l’intensità delle interpretazioni – ma questo andamento, che verrebbe da definire monocorde, in realtà funziona, un po’ per via della buona scrittura dei pezzi, un po’ per il carisma messo in scena da Williams, laconica e ben calata nel ruolo della dark lady, aiutata in questo da luci basse e tonnellate di fumo a fare ulteriormente atmosfera.
Un concerto in costante crescendo, che sul finale (senza bis) tramortisce definitivamente gli ascoltatori con assi come la stessa, magistrale As The Moon Rests e con quella che rimane una delle sue canzoni migliori, tratta dall’esordio, ovvero Melt.
Alla fine le due musiciste sono tra il pubblico disponibili a chiacchierare, a far foto e a firmare i dischi. Bellissima serata e peccato per chi non c’era.