Recensioni

Lucinda Williams, The Ghosts of Highway 20

Lucinda_Williams_Ghosts_Cvr_FNL_5x5LUCINDA WILLIAMS
The Ghosts of Highway 20
Highway 20/Thirty Tigers/Goodfellas
****

Abbiamo lasciato Lucinda Williams due anni fa, con lo splendido Down Where The Spirit Meets The Bone. Un disco speciale, 20 canzoni, il più rock della sua carriera. Lunghe ballate, intrecci di chitarre e un saluto al grande JJ Cale con una versione intensa di Magnolia. Noi lo abbiamo premiato come disco dell’anno, giusto per andare contro corrente, seguendo solo i nostri gusti e non quello che dicono gli altri. Due anni da quel disco, anzi un anno e quattro mesi, visto che era uscito il 30 Settembre 2014, Lucinda è già pronta con il nuovo lavoro. In questo lasso di tempo sono successe diverse cose, compresa la morte di Miller Williams, padre di Lucinda e poeta (ci ha lasciato nel Gennaio di quest’anno, a 84 anni).

Miller aveva avuto una grande influenza sulla figlia e questa dipartita ha certamente lasciato il segno: infatti The Ghosts of Highway 20 è più triste, più intimista del disco precedente. La matrice roots è la stessa, le chitarre anche, visto che i protagonisti principali sono più o meno gli stessi, cioè Greg Leisz e Bill Frisell (tranne due canzoni dove Val McCallum sostituisce Frisell). Ma la tristezza latente è più palese in certi brani, dove le liriche sono fondamentali.

The Ghosts of Highway 20 porta in vita storie e avvenimenti che la cantautrice ha impresso nella sua memoria, percorrendo in lungo ed in largo la Highway 20, un nastro di asfalto di oltre 1500 miglia, che dalla Carolina del Sud (South Carolina) porta al Texas. Non è la Route 66 né la Pacific Coast Highway, ma la interstate 20, come viene denominata più comunemente, ha le sue storie, storie mai raccontate che però vengono alla luce percorrendo queste highway a perdita d’occhio che costellano gran parte degli Stati Uniti. Lucinda è una storyteller nata: percepisce le storie, anche le leggende, e le mette poi nella sua vita, nel suo modo di agire e di pensare e ne trae delle canzoni. Canzoni spesso sofferte, altre volte vibranti, oppure nostalgiche: storie di persone reali oppure inventate, di fantasmi, leggende che sfogliano il passato. The Ghosts of Highway 20 è imbevuto di queste storie e costruisce le sue canzoni sulla poetica on the road che, da sempre, ha condizionato la canzone d’autore americana, e non solo quella. E Lucinda distilla le note, spezzandole su delle storie personali e non, allungandole a dismisura in ballate lunghe e nostalgiche, piene di poesia ma anche della dura realtà di ogni giorno.

Dust apre il disco. Una canzone lenta, ma secca e decisa, che trae ispirazione dalla strada, dall’asfalto che la ricopre. Una canzone che comincia subito a narrare una storia, lenta e maestosa nel suo incedere, con le chitarre di Bill Frisell e Greg Leisz a dettare legge, sin dalle prime note. La profondità del brano, la sua forza trattenuta, sono la base di una canzone che prende spunto da un poema di Miller Williams (che già aveva influenzato alcune canzoni di Where The Spirit Meets The Bone). La jam di chitarre, che chiude la canzone (più di sei minuti), mette la parola fine su una canzone splendida. House of Earth è sempre lenta, anche meno elettrica della precedente. La voce rotta dall’emozione della protagonista, declama lentamente i versi della ballata, notturna e profondamente triste, ma di grande forza interiore.

Se I Know All About It ripete lo schema, Place in My Heart tocca nel profondo del cuore, sia per la bella melodia che per la forza delle parole, dove Lucinda mette tutta sé stessa. Senza basso e batteria le due chitarre giocano un ruolo fondamentale nel creare il tappeto sonoro adeguato. Sopratutto il tocco di Frisell è essenziale.

Trovi l’articolo completo su Buscadero n. 385 / Gennaio 2016.

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