Foto: Rodolfo Sassano

In Concert

John Grant live a Milano, 22/11/2015

Non essendo a suo tempo stato folgorato sulla via per Queen Of Denmark (il disco), successivamente non sono stato colpito neppure da quella malattia che, a giudicare da recensioni e social network, ha poi affetto gli estimatori di quell’album, traditi dalle mosse successive di un John Grant che, evidentemente, non era quello che loro volevano fosse. Se però il grande merito di Queen Of Denmark era stato quello di mostrare quanto l’ex frontman degli Czars fosse un eccelso songwriter, al netto di gusti personali, non si può non rilevare quanto Grant abbia continuato a scrivere grandi canzoni anche dopo il trasferimento in Islanda e l’infatuazione per la musica elettronica. Lo ha dimostrato il concerto al Fabrique di Milano, tenutosi davanti ad un pubblico adorante, che proprio dall’accostamento delle varie anime della sua musica ha tratto forza, proponendo uno show vario e appassionato.

A riscaldare la sala ci avevano già pensato i bravi Fufanu, band di giovanissimi islandesi, capeggiati dallo scatenatissimo cantante Kaktus Einarsson e intenti a spedire nelle nostre orecchie un post punk potente e moderatamente spigoloso, di sicuro graziato da delle aperture pop che gli permetteranno di far girare il proprio nome anche più di quanto fatto fino ad oggi.

Introdotto dallo stesso intro che apre il nuovo Grey Tickles, Black Pressure – tradotto in italiano, per l’occasione – John Grant, maglietta degli Swans in bella vista, sale sul palco precisissimo alle 21.30 e, sedutosi al piano, proprio con la splendida ballata che dà il titolo al nuovo album incomincia. A dargli manforte una band composta esclusivamente da validi musicisti islandesi (basso, chitarra, tastiere ed elettronica, batteria), capace d’avvolgere la sua voce in pezzi come Down Here e Geraldine, quasi una preparazione ad una sentita versione di It Doesn’t Matter To Him.

Con Pale Green Ghost inizia una sezione più palesemente elettronica e movimentata che, alla faccia dei detrattori, in realtà imprime una necessaria spinta alla performance (anche se qualcuno dovrebbe insegnare a Grant a ballare, se proprio vuole farlo). Si susseguono così la funkeggiante Snug Slacks, la pulsante e comunque chitarristica Guess How I Know, prima che Glacier lo riporti al piano, dove eseguirà anche una memorabile Queen Of Denmark, sempre più un vero e proprio classico, con le esplosioni sonore della band più lancinanti e taglienti che mai.

Ci sia avvia verso il finale, dapprima con Marz, poi con una acclamatissima GMF (dedicata al pubblico), infine con una ritmata Disappointing. Neppure cinque minuti e le urla del pubblico riportano Grant e i suoi musicisti sul palco, dove eseguono prima Voodoo Doll e poi la triste e romantica Where The Dreams Go To Die. Grant rimane solo sul palco per la successiva Drugs, era un pezzo degli Czars, suonata al piano, così come Caramel, la quale chiude il sipario su una serata che lo stesso John Grant probabilmente ricorderà, visto l’affetto adorante e il calore arrivatogli dal pubblico. Grandi canzoni e grande classe.

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