C’è un Circolone bello pieno ad accogliere il ritorno in Italia dei newyorkesi A Place To Bury Strangers, quest’anno per la seconda volta dalle nostre parti, dopo la data bolognese dello scorso aprile. Instancabile live band – nel 2015 si sono sparati oltre un centinaio di date – i tre A Place To Bury Strangers riescono, grazie alla loro musica, a raccogliere un pubblico abbastanza eterogeneo, sia questo composto dagli appassionati del noise, così come dai più classici indie-kids o da quanti, e ancora sono tanti, strippa per dark e post-punk.
Ad aprire la serata c’erano gli interessanti Grooms, altro trio di Brooklyn, autore di un paio di album su Western Vinyl. La loro è una musica chitarristica ed ipnotica, da una parte debitrice ancora di qualche reminiscenza post, dall’altra vagamente influenzata dal sound dei sempiterni Sonic Youth. Per una mezz’ora abbondante tengono il palco intrattenendo nel migliore dei modi il pubblico che, nel frattempo, inizia ad affluire.
Neppure venti minuti di pausa ed è la volta dei titolari della serata. Anziché sul palco, gli A Place To Bury Strangers attaccano il loro set in mezzo al pubblico: illuminati solo da delle lucine al laser, iniziano a spappolare i neuroni degli astanti con una decina di minuti di vero e proprio terrorismo elettronico, come sempre rumorosissimo, eppure diverso da quanto fatto di solito. Un inizio insolito e devastante, che rientra nei ranghi quando i tre, senza che la musica s’interrompa, salgono sul palco e prendono in mano i loro strumenti abituali.
Immersi nel fumo, con strobo lampeggianti e una serie di visual come sola illuminazione, per più di un’ora daranno vita ad una discesa totale nel puro noise chitarristico. Le melodie che pure fanno mostra di sé nei loro dischi, dal vivo fanno più fatica a risaltare e quello che rimane in mente, più che la differenza tra un pezzo e l’altro, è il ricordo di un vero e proprio assalto sensoriale, il turbinio estatico di un sound aggressivo e lancinante, in bilico tra la potenza martellante della sezione ritmica e le sciabolate noise-psichedeliche della chitarra. Non si può dire che siano un gruppo veramente originale gli A Place To Bury Strangers – dal vivo come su disco, i loro referenti sono a dir poco ovvi – ma sanno come lavorare sui timbri dei loro strumenti e come rendere, ancora una volta, eccitanti queste sonorità. Prova ne sia il caleidoscopico finale – che chiude una performance senza bis – dove gli strumenti si sfaldano in impressionistiche nuvole di suono fluttuante, coacervo d’estasi e dolore, come questa musica sempre deve essere.