Recensioni

Lucero, All A Man Should Do

Lucero_AllAMan_CoverAr_3000DPI300RGB1000166888__26864_zoomLUCERO
All A Man Should Do
Ato Records
***½

I Lucero si sono accorti di essere una band di Memphis solo nel 2009 quando per l’album 1372 Overton Park hanno ingaggiato una sezione fiati e hanno allargato il loro alternative country-rock verso i paesaggi sonori della città. Prima di allora si erano segnalati per una onesta e sincera attitudine punk messa a disposizione di un rock urgente e aggressivo, qualche volta a ridosso di sonorità roots. Ma il disco della svolta è stato proprio quel disco del 2009, intitolato come il parco di Memphis attorno al quale è girata la loro gioventù e la loro voglia di evadere con la musica.

Dopo 1372 Overton Park c’è stato Woman & Work ma non ha avuto lo stesso impatto sebbene la strada fosse la stessa e la voce di Ben Nichols, chitarrista e leader del gruppo, una volta di più rovesciasse con quel timbro aspro e disperato la sua inquietudine ed il suo essere fuori posto sempre e comunque, a meno di non trovarsi in un romanzo di Cormac McCarthy. Autore tanto amato dal nostro al punto da dedicare al suo Meridiano di sangue un mini album di ballate collocate negli orizzonti infuocati del West. Da quel disco e dalle radici memphisiane espresse negli ultimi lavori, esce il nuovo disco All A Man Should Do forse il lavoro più ponderato ed intimista dei Lucero per quella verve balladiera che accompagna tutte le tracce del disco, sottolineate dal continuo e minuzioso lavoro di pianoforte di Rick Steff membro originario della band e mattatore del disco, artefice di un sound meno aggressivo e rutilante e più avvolgente.

Se difatti 1372 Overton Park faceva sfoggio di un’euforia ed una grinta che si appoggiavano su sferragliate chitarristiche da garage band e sul potente innesto fiatistico all’insegna di un viscerale e primitivo rhythm and blues, All A Man Should Do smussa gli angoli e più che il lavoro di una band sembra il frutto di un ispirato songwriter con tutte quelle aperture melodiche, quel fine lavoro nelle armonie, quelle ballate spesso malinconiche e crepuscolari e quello struggersi nella dualità delle relazioni e del sentirsi invecchiare.

Trovi l’articolo completo su Buscadero n. 381 / Settembre 2015

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