Da quello che è l’enorme calderone di band riconducibili all’universo krautrock, se fossi costretto a nominarne soltanto tre, in qualche modo indicando quelle che ritengo fondamentali e ineludibili, allora direi Can, Neu! e Faust. Delle tre, l’ultima è quella a cui sono probabilmente più affezionato, non foss’altro perché proprio loro furono il mio varco d’ingresso al mondo del rock (in senso molto ampio) tedesco degli anni 70, tramite il cofanetto The Wümme Years: 1970-1973 che raccoglieva le loro cose della primissima fase di carriera, quella più radicale, anarchica e creativa.
Scioltisi a metà anni 70, la band si è poi riunita a inizio anni 90, ricominciando a fare dischi, ma soprattutto framuntandosi in diverse incarnazioni dalle formazioni cangianti, tutte denominate comunque Faust, con come unico punto fermo il fatto che almeno uno dei membri originali fosse della partita. Troppo lungo stare qui a tenere conto delle varie line up che si sono succedute da allora, coinvolgendo spesso musicisti esterni anche piuttosto conosciuti – numerose collaborazioni a parte, basterà citare almeno Olivier Manchion e Amaury Cambuzat degli Ulan Bator – ma varrà la pena notare che una cosa del genere è rimasta un caso probabilmente unico nella storia del rock.
Anni fa, a Le Guess Who?, avevo intercettato i Faust di Jean-Hervé Peron, forse un po’ troppo progressive per interessarmi veramente, mentre, stavolta, la formazione che è passata dall’Italia con ben tre date è stata quella, a mio parere molto più vicina allo spirito originario della band, guidata dal batterista Werner “Zappi” Diermaier. Responsabile dei contenuti dell’ultimo album a comparire con la mitica sigla stampata su una copertina, quel Blickwinkel uscito appena pochi mesi fa, Zappi si è presentato proprio con alcuni dei musicisti presenti su quel disco, ovvero Elke Drapatz agli electronics e alle tastiere, il chitarrista avanguardista, anche lui a tastiere, electronics e anche oggetti, Uwe Bastiansen, il bassista Dirk Dresselhaus (meglio conosciuto come Schneider TM), ai quali qui si è aggiunto l’ex Pan Sonic Ilpo Väisänen agli electronics.
La data milanese, parte della rassegna Sempre Più Vicini, della quale abbiamo parlato qui e qui, si è svolta nell’accogliente Spazio Teatro 89, discretamente affollato da un pubblico entusiasta, tutto sommato abbastanza eterogeneo per quello che concerne l’età anagrafica. Nel momento stesso in cui sale sul palco coi compagni, scalzo e sorridente, Zappi, un omone grande e grosso vestito come un operaio che si appresta a metterti apposto la caldaia, investe tutti con quello che appare un sincero e contagioso entusiasmo: a vederlo suonare, quello che pensi è che questo incredibile settantacinquenne, a fare quello che fa, si diverte ancora un mondo.
Il ritmo dettato da Zappi, intento a picchiare su piatti e tamburi seguendo un groove, magari non sempre preciso al 100%, ma inequivocabilmente suo e immediatamente riconoscibile, rimane il motore della musica di questi Faust, così come di buona parte di quelli vecchi. Non è più sovversiva magari, ma avventurosa senz’altro lo rimane, spogliata com’è, qui, della sua componente più pop e melodica. Nessun pezzo cantato insomma.
Suonano cinque lunghissimi brani, che in parte si appoggiano a quelli di Blinkwinkel, ma dei quali sono una versione più espansa e, almeno parzialmente, improvvisata, nella quale la componente radicale non va a discapito di una giocosità gioiosa che subito viene percepita dagli spettatori, che difatti viene facilmente conquistato. L’accoppiata Diermaier/Dresselhaus dà vita a questi congegni ritmici spesso letteralmente esaltanti, sui quali gli altri tre costruiscono impalcature sonore e rumoriste in bilico tra elettronica e industrial, capaci di assorbire dentro di esse decenni di musica rock (e non solo) sperimentale, in un turbinio musicale che oggi non è forse più all’avanguardia, ma di certo rimane tra le cose più eccitanti in cui imbattersi, anche perché del tutto spogliata di qualsiasi retorica, così come di qualsiasi aggancio nostalgico (chiaramente nessun pezzo del repertorio storico). Grandissimi, insomma.