Oltre quattro miliardi di stream e una nomination ai Grammy: il loro Payback Tour sta riscuotendo enorme successo in tutta Europa, prima di essere lanciato in Australia e Sudamerica nei primi mesi del 2025. Radunando un pubblico di giovani nel cui petto pulsa un cuore Rock and Roll, una generazione Y che ancora riesce ad ascoltare non le solite proposte, JJ Julius Son, carismatica figura-guida della band con un’attitudine e un accento ormai molto “americani” (da diversi anni è Austin la casa base della formazione), riesce a mascherare una provenienza che in comune con la loro musica avrebbe molto poco a che vedere. Da Mosfellsbær, fredda e buia località d’Islanda, i Kaleo riscaldano un Alcatraz strapieno, che si lascia trasportare in un viaggio musicale coinvolgente.
Un’ascesa pressoché istantanea quella della band, sulla spinta regalata dalla risonanza che alcuni dei loro brani hanno avuto in “modalità mediatica”: da pellicole cinematografiche a serie televisive, fino alla vetrina videogame di Fifa, proprio nell’anno del debutto.
JJ Julius Son, votato senza dubbio a una scelta poco sobria degli abiti di scena, ha buona padronanza del palco meneghino e una voce il cui timbro da baritono regala estremo fascino allo spettacolo dal vivo, cose che alleggeriscono la formazione da una performance che tecnicamente mostra qualche limite. Tra lande desolate e strade polverose, ghiaccio e fuoco, immagini di quiete e lampi di tempesta, la compagine islandese con Rubine Pollock alla chitarra, Daniel Kristjansson al basso, David Antonsson alla batteria, e un camaleontico Thorleifur Gaukur Davidsson (tastiere, steel guitar, mandolino, armonica e chitarra all’occorrenza), alterna passaggi incandescenti a cavalcate acustiche, lasciando enorme spazio a varietà di suoni e vivide atmosfere.
Le spinte in apertura di USA Today, il terzo singolo in uscita che annuncia il nuovo album, daranno il via a uno spettacolo di luci molto ben studiato, contorno scenografico di un repertorio che abbraccerà i migliori pezzi della band. Dalla dolcissima melancolia di Lonely Cowboy, un’altra gradevole anteprima, agli arpeggi di una cantabilissima I Want More, dagli episodi acustici del folk sentimentale di Automobile ai morriconiani inserti di I Can’t Go On Without You. Ballad minimali e vibrazioni appassionate, i giochetti funky di Hey Gringo e il mandolino in All the Pretty Girls, il blues sensuale di un’ondeggiante Broken Bones e la poesia norrena di Vor í Vaglaskógi, nella loro lingua madre.
E ancora, la rabbia urlata di un brano come Skinny e l’esplosione emozionale di Way Down We Go, il pezzo che li ha consacrati al mondo intero, per poi tirare all’ora e un quarto con una magnetica No Good, prima di ripresentarsi per il bis finale in compagnia di Giuliano Sangiorgi dei Negramaro, una collaborazione che ha visto, durante l’anno in corso, i due frontman registrare assieme. Si chiude caricati a molla dall’energia di Rock and Roller, terzo singolo in anteprima sulle piattaforme, che svela l’amore della band per le sonorità più muscolari degli anni ‘70.
A tratti irresistibile la parte strumentale condotta dall’armonica, sudicia e distorta, il ritmo pulsante e il suono etereo catalizzato dalla voce. Una band che sa coinvolgere il suo pubblico, attento ed educato e sembrerebbe pure soddisfatto, se non per una performance un po’ troppo concisa. Ragazzi da tenere d’occhio, sperando che non vengano travolti dall’insidiosa iperbole del compromesso.