PHIL ALVIN County Fair 2000 Liberation Hall
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Dopo lo scioglimento dei Blasters, avvenuto nel 1985, non fu una sorpresa per nessuno la luminosa carriera solistica intrapresa da Dave Alvin, essendo egli la chitarra solista nonché principale autore del gruppo (oltre che in possesso di una bella voce baritonale), ma di certo ci si poteva aspettare di più dal maggiore dei due fratelli, ovvero Phil Alvin, che della band di Los Angeles era il frontman. Phil ha infatti sempre preferito andare sul sicuro senza rischiare troppo, intraprendendo vari tour con versioni apocrife dei Blasters, piuttosto che costruirsi un vero percorso discografico a nome suo: e dire che era partito bene, con l’ottimo Un”Sung Stories” del 1986 (costituito da rifacimenti di brani scritti in epoca prebellica), ma poi più nulla fino al 1994 e ancora niente negli anni a seguire, fino ai due recenti album con fratello Dave tra il 2014 ed il 2015.
Ed è proprio del disco del ’94, County Fair 2000, di cui andiamo a parlare oggi, in occasione della ristampa per il trentennale (senza bonus-tracks) a opera della Liberation Hall. Uscito originariamente per la Hightone e prodotto dallo stesso Phil, County Fair 2000 fu all’epoca quasi completamente ignorato dai media e dal pubblico, in quanto in piena epoca grunge faceva poco tendenza un disco che andava nel profondo delle radici americane. In questo lavoro, infatti, Alvin si presentava idealmente come l’attrazione principale della fiera di paese di una non meglio identificata cittadina rurale americana di metà del secolo, una sorta di pretesto per attraversare in 55 minuti la storia musicale degli Stati Uniti fra rock’n’roll, blues, country, folk, jazz, old-time e stili da big-band: un viaggio ambizioso ma anche splendido tra brani originali e tradizionali compiuto assieme a diversi ospiti illustri. Un disco che, paradossalmente, avrebbe più successo oggi di allora, dal momento che il recupero delle radici è ormai all’ordine del giorno.
Quattro pezzi vedono all’opera la versione targata ’94 dei Blasters (Phil, il bassista fondatore John Bazze i nuovi James Intveldalla chitarra e Jerry Angelalla batteria): l’irresistibile rockabilly in apertura County Fair, il delizioso doo-wop d’altri tempi The Blue Line, la spedita e countreggiante Keep In Touch, di e con Jerome Bowman, e i ritmi dixieland di Mr. Satellite Man, con l’aggiunta del vocione di Top Jimmy, ex-leader dei Rhythm Pigs di L.A.
A seguire troviamo il leggendario bluesman Billy Boy Arnold alla voce e armonica nel cadenzato blues elettrico Wreck Your V-8 Ford, che ci proietta direttamente in un fumoso club sotterraneo di Chicago; Alvin poi si esibisce in completa solitudine in una manciata di cristallini brani tra folk e blues come That Thing (di Clifford James), le sue She Loves So Good e Callin’ Corrine e l’eccellente ripresa della country ballad tradizionale Starlight. Alvin coinvolge addirittura la Dirty Dozen Brass Band al completo, che ci accompagna idealmente per le strade di New Orleans con il jazz-blues Turnin’ Blues Into Gold, e a proposito di jazz non mancano neppure The Faultline Syncopators, big-band dopolavoristica di Alvin che ci coinvolge con gli swing anni Trenta di What’s The Reason I’m Not Pleasin’ You e Low Down Rhythm e con lo strumentale The Terror, in puro stile ragtime.
Come ulteriore chicca abbiamo The Guada La Habrians, estemporaneo gruppo di estrazione latina con Cesar Rosas dei Los Lobos alla chitarra, nel sincopato rock-blues Oh, Doctor. Splendido poi il medley finale, ancora con la Dirty Dozen Brass Band, che raggruppa gli standard The Old Rugged Cross e Didn’t He Ramble, più una inattesa ma gustosa rilettura di Ankh, del classico della Sun Ra Arkestra. Ristampa da non perdere se avete mancato la pubblicazione originale: nel suo essere meravigliosamente fuori dal tempo, County Fair 2000 risulta attualissimo ancora oggi.