Nonostante la sua pluridecennale militanza nei Sonic Youth, Kim Gordon ha più volte ribadito di considerarsi una non musicista, semmai molto più un’artista capace di usare anche la musica per portare avanti il suo discorso espressivo. Forse è un po’ per quello che, chiusa come sappiamo l’avventura con la band, ha sempre avuto bisogno di un partner per rendere tangibile il suo percorso artistico.
Più che quello con Bill Nace nei Body/Head, nettamente più proficua è parsa la collaborazione col produttore Justin Raisen, almeno a giudicare dai notevoli risultati raggiunti da due album quali No Home Record e soprattutto il recente The Collective, i primi dischi, tra l’altro, a farla uscire definitivamente allo scoperto, facendole mettere il proprio nome in copertina.
Dischi coraggiosi e per nulla facili, propensi a seguire strade nuove, anche se, nel loro essere comunque urticanti e tutt’altro che accomodanti, non del tutto una rottura con le cose più avventurose del passato. Un’evoluzione, ad ogni modo, appagante, visto il pressoché totale plauso critico col quale questi lavori sono stati accolti, unanime nel rimarcare l’originalità di un percorso capace di superare a sinistra quello compiuto dai suoi vecchi compagni di band.
Ovvio che c’era quindi una certa curiosità nel vedere come avrebbe tradotto su palco ciò che si sente su disco. L’Alcatraz è utilizzato nella sua versione ridotta, ma ad attenderla c’è un pubblico piuttosto numeroso e moderatamente eterogeneo, anche se, devo dire la verità, più orientato a una media over anta, per così dire.
In apertura la DJ e producer polacca Zamilska, non male nel riversare sugli astanti una techno abrasiva e affilata, tutto sommato non unicamente destinata ai club, ma immagino perfettamente funzionale anche come ipotetico ascolto casalingo.
La sua è una mezz’oretta che scorre veloce e alle 22 in punto Kim Gordon e band salgono sul palco. In verità, prima che ciò avvenga, sullo schermo che farà da sfondo per i musicisti, viene mandato un filmato con scene riprese in situazioni diverse, comprese alcune girate nella loro sala prove, mentre le casse sparano a tutto volume quella Bangin’ On The Freeway presente solo nella versione Deluxe di The Collective. Mah, se l’avessero suonata live sarebbe stato meglio, ma prendiamola per quello che è: un intro.
Il primo pezzo è in realtà BYE BYE, la stessa canzone che apre il nuovo album, il quale verrà di fatto suonato in sequenza, con l’unica differenza che al posto di Tree House, la sola esclusione nella scaletta, verrà eseguito uno strumentale dissonante, tendente alla drone music e al noise sonicyouthiano, intitolato Cigarette, a fare da lunga introduzione alla seguente Shelf Warmer.
Accompagnata da un trio di ragazze – Sarah Register alla chitarra, Camilla Charlesworth al basso, Madi Vogt alla batteria, le prime due anche ai synth e agli electronics – Gordon attacca lo show imbracciando la chitarra elettrica, usata per sferragliare non poco, dando al primo pezzo una caratura nettamente più chitarristica, una tendenza non mantenuta per tutta la scaletta, in realtà.
A dominare, infatti, è lo stesso sound sentito in The Collective, quindi scuro, elettronico, allucinato, al quale i recitati distaccati di Gordon contribuiscono a conferire una livida freddezza. Musica fatta di suono e ritmo – importante su questo secondo versante il lavoro fatto da Voigt alla batteria, a integrare i beat elettronici mutuati dall’hip hop e principale differenza rispetto alle versioni in studio – non facilissima, che dal vivo, più che su disco, rischia di tramutarsi in una sequenza ottundente, ma anche un po’ monocorde.
Parecchio interessante, intendiamoci, ma quando finalmente arriva il ficcante singolo punk Air BnB e alcuni pezzi del primo album, tutti in chiusura di set e tutti mediamente più tradizionali di quello sentito fino a quel momento, il concerto almeno un po’ si apre e la band appare più libera di darci dentro.
Quando poi, al termine dell’encore , Kim – in forma a dir poco smagliante, in barba agli anni che passano – riprende in mano la chitarra e si getta con le altre nella rumorosa Grass Jeans, evocando non poco l’epopea Sonic Youth, dei quali chiaramente non è stato suonato nulla, l’eccitazione rock finalmente sale del tutto, mettendo il sigillo a una prestazione eccellente. La quale, una volta tanto direi giustamente, non è andata oltre l’ora e dieci di durata, riuscendo così a mantenere tesa l’atmosfera e salda l’attenzione del pubblico.