Recensioni

Greg Copeland, Empire State

GREG COPELAND
Empire State
Franklin & Highland
***1/2

Piccoli gioielli dalle label indipendenti. Mentre le major sono alla ricerca di artisti con tiepide melodie, ottimi video e ragazze appetitose, le indie giocano in un altro campionato. Greg Copeland è il classico caso di artista relegato dal mercato e dalle scelte dei manager nelle retrovie del music-business. È un peccato, perché Copeland, con un album (o meglio, un lungo EP) di soli quattro brani è comunque in grado di arrivare facilmente al cuore dell’ascoltatore.

Lunghe ballate, dolci melodie e le slide in bella evidenza: sono i mezzi usati per comporre il suo mondo poetico. Alcuni dati anagrafici serviranno a comprendere meglio il personaggio. Greg ha pubblicato nel 2008 un album, dal titolo Diana And James, dopo una pausa, chiamiamola così, di ventisei anni (!) dalla sua opera prima, Revenge Will Come, album prodotto niente meno che da Jackson Browne. Oggi dopo una pausa più breve (sedici anni), ritorna tra noi con Empire State, un EP di grande valore.

I ritmi calmi e le lente ballate ci portano negli «ampi spazi» americani, lontano dal traffico cittadino e dalle metropoli altamente popolate. Una boccata d’aria fresca tra i panorami californiani, così ci arrivano le quattro canzoni di Copeland. Greg non ha bisogno di grandi produzioni o studi di registrazione sofisticati, le sue ballate intimiste si reggono perfettamente sui pochi accordi delle chitarre e sugli interventi dosati del violino, del mandolino e delle tastiere.

Le quattro canzoni — Boon Time, We The Gathered, 4:59:59, la title-track — mettono in evidenza la vena poetica del personaggio, rimasta integra nonostante il tempo trascorso. Piccolo particolare, Greg ha oggi 78 anni ed è ancora attivo in California, dove abita e ha sempre vissuto. L’album è prodotto da Tyler Chester, già presente in Revenge Will Come, mentre in studio troviamo Greg Leisz alla pedal-steel, Val McCallum, già con Jackson Browne, alle chitarre e Sara Watkins al violino.

Ancora un’osservazione sulla copertina: la foto della è stata scattata dall’interno di un’auto (si riconoscono, infatti, il cruscotto e parte del volante), in puro stile Nebraska per intenderci. Mentre nell’album di Springsteen la strada era deserta e il cielo abitato da nuvole basse, in Empire State la strada di fronte al veicolo è attraversata da una mandria di mucche. Un bel modo per sottolineare la differenza di atmosfere tra i due album, intimista e sofferto quello di Bruce, sereno e meditativo e quello di Copeland.

Un piccolo gioiello, scrivevo all’inizio della recensione, perché con sole quattro canzoni dipinge il mondo che lo circonda con pochi e sapienti tocchi di pennello. Ci sarebbe anche un quinto brano, della durata di 51 secondi, dal titolo Coyote, che riprende proprio l’inquietante lamento di quest’animale (cui andranno sicuramente i diritti d’autore). Le atmosfere sono delicate ma i testi raccontano la dura realtà americana, intrisa di disoccupazione e violenza. L’album è pubblicato dall’etichetta di Copeland, la Franklin & Highland, e pare che l’artista abbia già altri brani pronti per un prossimo disco. Un ottimo risultato per il quasi ottantenne Greg, speriamo che il prossimo capitolo non si faccia attendere anni, com’è sua abitudine.

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