Foto © Helga Franzetti

In Concert

Warren Haynes live a Barcellona (ES), 22/6/2024

Cappelloni, tatuaggi, maglie di Frank Zappa, Grateful Dead, The Doors, Steve Vai e Lynyrd Skynyrd… Allman Brothers e Gov’t Mule, non possono mancare! Una mezcla catalana che tra chiacchiere e bicchieri inizia a sistemarsi in sala aspettando uno dei più bei concerti ai quali abbia mai assistito. Sarà lo spirito, il contesto, la location contenuta, o sarà la Spagna, Barcellona, un pubblico diverso, ma quel venerdì di un 22 di Giugno ha lasciato a credito un bagaglio emotivo ponderoso, che dovrò trovare il modo di imbarcare sul mio volo di ritorno.

Quegli immensi musicisti padroneggiano dinamiche, sequenze spazio-tempo e armonie come fossero Gaudí con le sue forme e i suoi colori, a cominciare dalla competenza di un perito come John Medesky all’organo, tastiere e Honer Calvinet. Un muscolare Kevin Scott al basso (Gov’t Mule), impattante col suo suono seventies alla Allen Woody, tiene la ritmica assieme a Terence Higgins, già alle percussioni nella Dirty Dozen Brass Band, che si inventa un black funky groove da motore fuoribordo. Greg Osby, definito dal New York Times uno dei pensatori musicali più provocatori della sua generazione, punteggia e sottolinea al sax, fino a diventare impeto creativo quando si lancia negli assoli. La chiamano alchimia: il mondo musicale su quel palco supera qualsiasi elemento personale e si focalizza sull’insieme, liberando espressione a spazi individuali in amalgama melodica. 

È Tear Me Down dei Muli ad aprir le danze, con Warren Haynes che già impugna la sua Gibson come fosse la spada nella roccia. Il suo modo di suonare, il suo condurre lo strumento è davvero inconfondibile: dita, plettro, pulizia, vibrati, stacchi, allunghi e un’estrema sincronia con i compagni, esplorando quell’intero mondo dei suoni come solo lui sa fare.

Fire In The Kitchen è brividi che infiammano la sala, in Spots Of Time la chitarra sembra parlare mentre il sassofono sta lì ad urlare una magia. E ancora, un attimo di fiato e Go Down Swinging si sviluppa con un crescendo imponente. Brani tirati, in uno spettacolo dove la jam diventa la regina incontrastata dell’Apolo. Una ballata, Frozen Fear, che fa salire a bordo corpi e anime sognanti e un finale verso il primo set che diventa psychojazz, con quell’Honer Clavinet icona nella storia della musica che mostra la sua enorme timbrica. Inventiva, ritmo e vibrazioni che sconfinano nell’improvvisazione di materia jazz, esplorando dimensioni ai confini dell’universo sonoro.

La creatività chiede “permesso” alla perfezione: musicisti con un pedigree da far paura e una band enormemente solida seppur ancora “in fase di rodaggio” con il tour di Now Is The Time partito proprio dall’Europa (Eindhoven) solo una settimana fa.

Il secondo tempo è aperto da Medesky che manopola e introduce lungamente l’esplosione di Soulshine, uno dei momenti più toccanti del concerto. Haynes annuncia un pezzo nuovo, Lies Lies Lies e lascia al pubblico il sapore di un afrodisiaco aperitivo in attesa del nuovo lavoro.

Due ore e mezza che raccolgono divagazioni nell’immenso repertorio Gov’t Mule, Allman Brothers e la produzione da solista, pezzi da oltre 15 minuti, e un finale roboante: Pretzel Logic di un antico Steely Dan, a ricordare quanto grande sia il passato, e un secondo generoso bis dedicato alla platea che chiama calorosamente, con una Spanish Castle Magic dal suggestivo magnetismo.

Quel venerdì di un 22 di Giugno, ingordo di un’estate che in Italia non arriva, ho accarezzato dimensioni di coscienza in terra ispanica. Quella sera ho assistito a qualche cosa di incredibile.

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