L’estate si avvicina e non è più tempo di concerti al chiuso, ma, anche se la statura del personaggio meriterebbe l’ovazione di uno stadio, Mick Harvey deve accontentarsi degli applausi di qualche centinaio di appassionati, degli spazi contenuti e delle temperature tropicali della sala del Circolo Arci Bellezza di Milano, perché San Siro è occupato per sette sere di fila e tutte esaurite.
Con i Boys Next Door, i Birthday Party, i Crime & The City Solution e i Bad Seeds, Harvey ha scritto pagine fondamentali del rock australiano e non solo, ma rimane un artista di culto da quando ha preso una diversa strada da quella del compagno di sempre Nick Cave per dar vita a una carriera solista con cui mettere in risalto le sue capacità autoriali come succede nell’ultimo lavoro di studio Five Ways To Say Goodbye, che, insieme al disco dello scorso anno realizzato con l’artista multimediale messicana Amanda Acevedo Phantasmagoria In Blue, rappresenta il fulcro del repertorio eseguito nel corso del concerto al Bellezza.
Ad aprire la serata ci pensano i milanesi Three Blind Mice che davanti a una sala che va riempiendosi, scaricano una mezz’ora di fiammeggiante rock’n’roll dalle tinte noir e vibrante di riverberi quanto un assolo di Duane Eddy, decisamente in sintonia con la poetica se non con le atmosfere di quanto seguirà.
Quando Mick Harvey sale sul palco per mettere a punto la strumentazione, ci si accorge che il ragazzo che scatenava l’inferno con i Bad Seeds, è oggi un elegante signore dalla barba e dai capelli canuti, che ha mantenuto comunque un fisico asciutto e la verve e l’entusiasmo della gioventù, non appena canta le prime strofe di Heaven’s Gate, una malinconica ballata d’ispirazione folk dagli sfondi cameristici in cui si intuiscono le ragioni della presenza sul palco di un quartetto d’archi: Davide e Federica al violino, Silvia alla viola e Camillo al violoncello hanno l’aria timida di studenti del conservatorio e seguono fedelmente lo spartito, suonando con garbo e scontornando le canzoni con gli arei arrangiamenti che si apprezzano in Five Ways To Say Goodbye, come accade della splendida When We Were Beautiful And Young o in un’intensissima e autobiografica A Suitcase in Berlin.
Giusto una manciata di canzoni, prima che la graziosa Amanda Acevedo si unisca alla compagnia intonando vocalizzi che fanno venire in mente i duetti gainsbourghiani che Harvey tanto adora, come nel caso della sensuale Phantasmagoria In Blue o lo struggimento di nickcaveiane Murder Ballads in una affascinate rilettura di Love Is A Battlefield dal repertorio di Pat Benatar.
Harvey è un uomo di cultura e di gran gusto e lo dimostra la scelta delle tante covers che intervalla agli originali e che rilegge sempre con personalità e sentimento, che si tratti di una bellissima Milk & Honey dal songbook di Jackson C. Frank, di una Dirtnap Stories di Lee Hazlewood o di una sempre meravigliosa Song To The Siren di Tim Buckley.
Anche se a giudizio dell’artista non è paragonabile a quello australiano, il calore in sala è davvero da sauna, ma Mick Harvey mette in fila una canzone dietro l’altra senza scomporsi e mantenendo alta l’attenzione del pubblico che lo applaude quando intona la malinconica The Art Of Darkness o la folkeggiante We Had An Island; lo acclama quando il tenore dello show si avvicina pericolosamente al rock’n’roll con l’esecuzione di una febbrile Setting You Free dei The Triffids e sembra addirittura leggergli nel pensiero quando chiede a gran voce una Out Of Time Man dei Mano Negra che l’artista esegue senza battere ciglio.
Probabile che l’affiatamento con il quartetto d’archi abbia ulteriori margini di crescita, ma l’ora e mezza circa di fascino e emozioni che Mick Harvey ha concesso ad un Bellezza alla fine piuttosto affollato, è stata decisamente all’altezza della fama e della classe del personaggio.