Foto © Lino Brunetti

In Concert

Kristin Hersh live a Milano, 7/4/2024

L’indie rock non ha un solo punto d’origine, ma a metà anni Ottanta ci saltavano all’occhio due sviluppi piuttosto diversi fra loro: da un lato gli straordinari psicodrammi messi in scena da Kristin Hersh per le Throwing Muses, dall’altro gli impassibili e indefinibili anti-inni di gruppi come i Camper Van Beethoven”: così Steve Connell nella prefazione del consigliatissimo volume “È tempo d’inventare”, libro che antologizza una serie di articoli dedicati all’indie rock (appunto), in origine pubblicati sulla mitica fanzine/rivista culturale americana Puncture, portato in libreria qualche tempo fa da Big Sur.

Poche righe che alludono all’importanza, nel rock degli ultimi trenta e più anni, di una cantautrice  e musicista come Kristin Hersh che, un po’ per via di un carattere spigoloso, un po’ forse anche per la disattenzione del pubblico e della critica, è oggi senz’altro meno celebrata e conosciuta di quanto la sua importanza la dovrebbe far essere. Inutile mettersi qui a speculare sul perché non le riuscì di fare il grande passo verso la fama negli anni 90, a cui pure andò vicino – si può immaginare che il motivo principale sia che fu lei a non volerlo, in qualche modo – né sul perché neppure oggi, coi Throwing Muses ancora in attività, la sua band non si avvicini neppure al diffuso culto di, per dire, i Pixies. 

Noi che con le sue canzoni ci siamo cresciuti, ma che mai l’avevamo vista live, anche perché ben poche volte è passata dalle nostri parti, non potevamo proprio mancare a uno dei sette concerti che Kristin aveva in programma in Italia. In particolare, siamo andati a quello nella Palestra Visconti dell’Arci Bellezza di Milano.

Come bonus della serata, prima del concerto, c’era anche un piccolo reading del suo libro, uscito in Italia per Jimenez, “Non fare stronzate, non morire”, poetico miscuglio di memoir e lettera aperta dedicato allo scomparso Vic Chesnutt, amico della cantautrice. A organizzare la lettura, il bel sito readandplay.it, che vi consiglio di visitare, un portale che dedica attenzione al rapporto tra letteratura e musica. 

Libro intenso, più flusso di ricordi e pensieri, che non narrazione biografica, qui è stato evocato da alcuni passaggi per molti versi strazianti nella loro scabra e disossata sincerità. Alle letture naturaliste e prive di enfasi alcuna di Hersh (in inglese ovviamente), seguivano le traduzioni in italiano, più recitate, di una ragazza che lavora per il sito, Eleonora Pizzi. Breve, ma sfizioso antipasto.

Piccolissima pausa e poco dopo Kristin torna sul palco e senza tante cerimonie imbraccia la chitarra acustica e inizia la sua performance. Fisico minuto, sguardo penetrante con due occhi azzurissimi, tra l’altro di tonalità leggermente diverse l’uno dall’altro, è una presenza magnetica sul palco. La voce si è arrochita e non ha probabilmente più l’estensione di un tempo, ma riesce lo stesso a muoversi su registri diversi dando a volte una sensazione leggermente straniante. Alla chitarra alterna qualche arpeggio a strumming più rockati, senza indulgere in nulla più che sia funzionale alla canzone.

L’intensità arriva tutta dall’incrocio tra l’asciuttezza ricercata della performance e il carisma di una presenza che ha qualcosa della prosa scarnificata, ma al contempo lirica del Cormac McCarthy delle origini. Forse bisogna essere predisposti, ma la potenza di quello che fa arriva chiara e fa scorrere i brividi. In linea col personaggio, concede poco a quelle che possono essere le aspettative di un pubblico comunque adorante: giusto quella Your Ghost all’epoca cantata con Michael Stipe e quasi nulla d’altro.

Anche quando tira fuori dal cilindro qualche pezzo della sua band, sono brani del repertorio più recente, lontanissimi da quelli che possono essere considerati i suoi classici (Kay Catherine, City Of Dead, una Bywater introdotta da un simpatico e divertente anedotto su un pesciolino, ehm, finito nel cesso), e persino dall’ultimo album, l’ottimo, Clear Pond Road, concede solo un pezzo, la bella Eyeshine, preferendo estrarre pezzi sparsi dalla sua discografia solista, senza dar risalto a un album piuttosto che un altro.

Ma noi che Kristin Hersh l’amiamo, lo facciamo in fondo proprio per questo, per la sua ostinata voglia di essere sempre e solo se stessa e di fare ciò che vuole, quando vuole. La cover di Wayfairing Stranger nel bis, comunque, è stata decisamente un regalo che rimarrà scolpito nella memoria.

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