Se in tutti questi mesi c’è stato un settore che in pieno ha recepito e fatte sue tutte le regole relative al tentativo di impedire al massimo la circolazione e diffusione del maledetto virus, di sicuro quello è stato il comparto culturale. Cinema, teatri, sale concerto e festival, quantomeno in larga maggioranza, di sicuro per quello che riguarda la mia esperienza personale, sono stati tra i più ligi nel registrare minuziosamente nominativi e numeri di telefono dei partecipanti e nel garantire l’attuazione di qualsiasi norma riguardante distanziamento e uso della mascherina.
È prova di quanto dico il fatto che, statistiche più o meno ufficiali alla mano, la percentuale di contagio in queste sistuazioni è stata praticamente pari a zero. Erano insomma i posti più sicuri da frequentare, quelli dove le possibilità d’ammalarsi erano assai scarse, senza contare l’ulteriore bonus, forse la cosa più importante, di essere oasi di svago, luogo dove attivare le sinapsi e nutrire l’anima, cose che, bisogna constatare con un po’ d’amarezza, non vengono tenute granché da conto da chi sta ai comandi, se non a parole.
Che la situazione sia drammatica non lo si discute: chi vi scrive non è né un negazionista, né uno di quelli che tende a minimizzare, e neppure – dio ce ne scampi – uno di quelli che crede di avere sempre la verità in tasca e se decidessi io… Eppure la decisione di chiudere tutto dell’ultimo dcpm brucia non poco, per quello che abbiamo detto qui sopra, per la consapevolezza che i luoghi a rischio sono altri, per l’implicita ammissione (però negata) che musica, cinema, teatro siano cose superflue. Brucia anche perché non tiene in debito conto l’impegno, il coraggio, forse addirittura l’incoscienza di quanti in questi mesi questi settori hanno tentato in tutti i modi di tenerli in vita, pur con tutte le difficoltà del caso.
Esemplare, per dirne uno, quanto fatto dagli organizzatori del milanese JAZZMI, i quali avevano messo in piedi un cartellone, magari non del tutto al livello di quello degli altri anni, ma sicuramente ricchissimo di appuntamenti, con un sacco di cose che sarebbe stato bello vedere (o almeno avere avuto la possibilità di farlo). E invece, dapprima le defezioni dei pochi artisti internazionali in programma (dovute alle limitazioni nello spostarsi da un paese all’altro), poi una riconfigurazione degli orari e degli appuntamenti dovuta al coprifuoco alle 23, infine la resa inevitabile di fronte a questo parziale lockdown, dopo appena quattro giorni di eventi, quando avrebbe dovuto esserci ancora una settimana di concerti davanti.
Amplissimo cappello introduttivo, in fondo di scarsa utilità credo, per quello che doveva essere il ritorno dei live report sul nostro sito e che, a questo punto, per chissà quanto rimarrà episodio isolato. A voler comunque guardare il bicchiere mezzo pieno, si può almeno ringraziare per il fatto di essere riusciti ad assistere al bellissimo concerto multimediale dei C’mon Tigre al CRT Teatro dell’Arte (sold out, ma chiaramente tutt’altro che pieno), per l’occasione accompagnati – o ad accompagnare – gli splendidi film animati di Gianluigi Toccafondo.
I primi, misterioso duo italiano autore di due bellissimi album musicalmente indefinibili, diciamo in bilico tra suggestioni afro, jazz, psichedelia, elettronica, trip-hop e musica da film, si è qui presentato in versione a sei, coi due membri effettivi (a voce, synth, chitarra, electronics) accompagnati da Beppe Scardino (sax, flauto, synth), Mirko Cisilino (tromba, corno francese, synth), Marco Frattini (batteria, electronics) e un grandissimo Giacomo Riggi al vibrafono.
Il secondo è molto semplicemente uno dei più brillanti illustratori italiani, autore multimediale operante nel campo della pittura, così come dell’animazione. Oltre ad aver diretto alcuni cortometraggi, è stato autore di diverse sigle televisive, ha lavorato per il cinema e per molte case editrici (se avete in casa i libri della Fandango, ad esempio, potete ammirare le sue opere) e da sempre ha un legame stretto col mondo della musica (l’artwork del disco Costellazioni de Le Luci Della Centrale Elettrica è suo, ad esempio). Coi C’mon Tigre aveva ovviamente già lavorato (tra l’altro, la band ha sempre mostrato grande interesse per il mondo dell’illustrazione, prova ne siano non solo i video, ma ad esempio il formato book illustrato dell’ultimo, ottimo Racines) e qui il sodalizio si è concretizzato nuovamente in maniera naturale.
Il fascino evocativo delle musiche dei C’mon Tigre – che per l’occasione hanno riarrangiato con grande perizia il loro repertorio, aumentandone esponenzialmente la qualità jazz cinematica – ben si è sposato con il flusso d’immagini visionarie delle animazioni di Toccafondo. I musicisti erano posti dietro un telo, sul quale venivano proiettati i filmati, in modo da dar vita a una serata di cinema-concerto nel quale ciascun media è parso di pari importanza.
Sono sfilate così le sequenze tratte da opere di Toccafondo quali “Pinocchio” o “Essere morti o essere vivi è la stessa cosa” (quest’ultimo un cortometraggio d’animazione dedicato a Pasolini), così come quelle di video realizzati proprio per i C’mon Tigre, come accaduto durante la sempre splendida Federation Tunisienne De Football. La band è stata bravissima nel bilanciare il proprio suono, rimanendo contemporaneamente legata al formato canzone, costruendo un mood immaginifico e liberando pure, jazzianamente, i solismi dei vari musicisti, in modo da affrescare una musica iper contaminata, imprendibile, sempre esaltante ed emozionante.
Emozione impagabile, che speriamo di poter nuovamente tornare a vivere presto sotto a un palco.