ROBERT LESTER FOLSOM
Ode To A Rainy Day: Archives 1972 – 1975
Anthology Recordings
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Uno degli aspetti positivi dell’attuale era digitale e dell’avvento di internet è la più ampia esposizione di informazioni mai registrata nella storia dell’umanità: in rete è possibile imparare a cucinare un perfetto gulash, capire come costruire un’igloo o scovare le canzoni della più oscura band che abbia mai calcato il suolo terrestre. Grazie ad internet, personaggi inghiottiti dal passato come Rodriguez o come il gruppo punk di Detroit Death hanno trovato un nuovo pubblico e rimesso insieme i cocci di quella carriera che non hanno mai avuto: più o meno lo stesso è successo a Robert Lester Folsom, forse il più recente, ma non certo l’ultimo degli artisti fantasma tornati a far udire la propria voce attraverso la rete. Fino al 2010, quando una sua canzone ha cominciato ad accumulare ascolti su internet, nessuno aveva mai sentito parlare di Robert Lester Folsom oltre i confini di Adel, una minuscola cittadina rurale del Sud della Georgia, dove Robert è cresciuto ascoltando gospel, rock’n’roll e rhythm’n’blues, fino alla scoperta di Rubber Soul dei Beatles, il disco che lo spinge a scrivere canzoni.
Dopo aver barattato il giradischi per una chitarra, all’università Robert trova immediatamente compagni con cui condividere la propria passione e formare una band dall’improbabile nome Abacus, con cui si esibisce alle feste e ai balli scolastici interpretando un repertorio fatto di covers e brani originali. L’acquisto di un registratore a bobina con cui incidere dei demos fa lievitare i sogni di rock’n’roll di questi ragazzi di provincia e la meta più prossima diventa la realizzazione di un vero e proprio debutto discografico: viene scelto uno studio di Atlanta dove lavora l’ingegnere del suono Stan Dacus, ma la sintonia tra i musicisti non funziona e il progetto finisce nel nulla. Dacus è comunque convinto della bontà del materiale e Folsom talmente caparbio, da chiedere un prestito alla banca locale per finanziare tutto da solo la tanto agognata opera. Nell’estate del ’76 torna allo studio LeFevre di Atlanta insieme ai ragazzi della band, ma questa volta le operazioni sono sotto il suo esclusivo controllo e finalmente un vinile di otto tracce dall’opportuno titolo Music and Dreams vede la luce. Il disco riceve una certa attenzione e un esiguo successo in Georgia e in parte della Florida, ma, gravato dai debiti, Folsom non dispone del denaro necessario ad andare in tour per promuoverlo adeguatamente, così la sua musica insieme ai suoi sogni sfuma rapidamente nell’arco di un’estate.
Per trent’anni Robert Lester Folsom è rimasto nascosto nell’anonimato di una qualunque vita provinciale, almeno fino a qualche tempo fa, quando gli utenti della rete hanno riscoperto Music and Dreams e l’etichetta Mexican Summer di New York l’ha ristampato in vinile e la coreana Riverman Music in CD, restituendo all’artista della Georgia l’ebrezza del palcoscenico nel corso di una serie di nuovi concerti. Sull’onda del successo, oggi la specializzata Anthology Recordings pubblica addirittura un secondo disco inedito di Robert Lester Folsom dallo splendido titolo Ode To A Rainy Day: Archives 1972 -1975: un lavoro che raccoglie le prime affascinanti incisioni impresse su nastro, con una serie di canzoni in cui l’artista è alla ricerca di un’identità tra i Beatles e Bob Dylan.
Ode to a Rainy Day è pervaso da brillanti atmosfere folk-rock venate di psichedelia e di accenti sudisti: il suono non è perfetto, leggermente opaco e piuttosto riverberato, ma la bellezza di queste composizioni risulta ancora intatta, quando partono le note di un’aria vagamente byrdsiana come Written in Your Hair; di una bluesata On and On, dove affiora il laid-back del Sud; di calde melodie elettroacustiche dalle sfumature west-coast come Love is e come lo strumentale Heaven on the Beach with You; o di una incantevole See You Later, I’m Gone, dove è più marcata l’impronta dylaniana. Che le canzoni di Folsom avrebbero meritato ben altra fortuna, lo si intuisce anche dai melodiosi fremiti country-rock di una bucolica Another Sunday Morning; dal leggero respiro lisergico di una stralunata Situations; delle deliziose derive psych-folk di una lirica Oblivion; dal tratto psichedelico di una oppiata Can’t You See; fino al tessuto rock di Blue Velvet e al sapore pastorale di una ballata folk come Show Me to The Window. Ode to a Rainy Day non è la clamorosa riscoperta di un capolavoro smarrito e ovviamente nemmeno un album imprescindibile, ma l’innocenza e l’autenticità delle sue tredici canzoni conservano tutto l’incanto del sogno Americano e di un momento storico in cui la musica aveva tutto un’altro valore.