Recensioni

Chris Stapleton, Traveller

stapletonCHRIS STAPLETON
Traveller
Mercury
****

Per anni Chris Stapleton ha scritto canzoni per gli altri. Ha scritto per Tim McGraw, Charlie Daniels, Kenny Chesney, George Strait, Darius Rucker, Dierks Bentley, Brad Paisley, Luke Bryan, per citarne alcuni. Per qualche anno aveva già fatto anche il musicista: prima come membro degli Steeldrivers (anche voce solista), quindi li ha lasciati nel 2010 per fondare una sua band, Jompson Brothers. Ma non aveva mai fatto un disco a suo nome. Nel 2014 ha firmato per la Mercury Nashville ed ha scelto uno dei migliori produttori sulla scena, Dave Cobb, che di recente aveva prodotto i dischi di Sturgill Simpson, Jason Isbell e Jamey Johnson. Tre dei migliori act di country o Americana, in questo momento in Usa.

Il debutto di Stapleton è notevole, forse il migliore disco country di quest’anno: anche se siamo a Maggio, è un giudizio che si può quasi già ipotizzare. Un disco di country music così bello, intenso, deciso, difficilmente uscirà entro l’anno: e non è solo questione di voce o di canzoni. Il suono è fondamentale: un suono ricco, pieno, molto vicino anche a sonorità rock, mai ripetitivo. Stapleton, che sa scrivere come pochi altri, è anche dotato di una gran voce, molto espressiva ma anche bluesy, una voce che si avvicina a quella di John Mellencamp. 14 canzoni, due covers. Mischia rock e blues nella sua musica in modo naturale, gli arrangiamenti sono scarni, ma gli strumenti ci sono e, in almeno cinque/sei canzoni, si parla veramente di grande musica.

Traveller apre benissimo il disco, superba ballata, con la steel guitar che affianca la voce e permette alla canzone di crescere, circondata da una melodia potente, dove la voce forte ed espressiva di Stapleton è grande protagonista. La steel guitar segue la voce, ma la canzone ha un sapore quasi rock, e i due stili si mischiano alla grande. Fire Away, intro lento e suggestivo, è una canzone d’amore. Sia la voce che il suono, pieno e avvolgente, le danno uno spessore notevole e la rendono decisamente piacevole, sin dal primo ascolto. Il suono è in bilico tra rock e country e la voce, con le sue aperture, dà al brano una notevole forza interiore. Tennesse Whiskey è la prima cover, ed è anche una grande canzone. Scritta da Dean Dillon e Linda Hargrove, ha raggiunto la fama grazie a George Jones, una delle grandi voci di Nashville, e devo dire che Stapleton non sfigura assolutamente di fronte al grande George. Passo lento, classico, Tennessee Whiskey viene riletta in modo appassionato, con una interpretazione vocale notevole. Parachute è più rock e mischia un train elettrico con una parte vocale più country oriented: il che dà al brano un bel fascino. Whiskey and You (l’hanno fatto Tim Mc Graw, anni fa, e Jason Eady, nel 2014, sull’album Daylight & Dark, recensito dal sottoscritto) è una canzone acustica, spoglia e molto triste. E, rispetto alle altre due versioni, quella di Stapleton è decisamente meglio. Nobody to Blame ci fa tornare in ambito rockin’ country, con una composizione quasi parlata, che ha un’armonica blues sul fondo ed una atmosfera degna di Johnny Cash. The More of You, con un mandolino in primo piano ed una atmosfera più acustica (c’è anche l’armonica di Mickey Raphael), si stacca dal resto del disco: la voce femminile è della moglie di Chris, Morgana, che se la cava egregiamente. When The Stars Come Out è sempre di buon livello, anche se, rispetto alle altre, mi sembra un gradino sotto. Daddy Doesn’t Pray Anymore (ancora Raphael all’armonica) ha un intro quasi sussurrato e si apre lentamente: ma la ballata è intensa e suggestiva e la vedrei benissimo con la voce di Willie Nelson (sicuramente Raphael l’avrà già segnalata al suo capo).

Might As Well Get Stoned è la più rock dell’album. Vuoi per l’intro di chitarra, inequivocabilmente rock, vuoi per il proseguimento della stessa, molto più robusto del resto, Was it 26 (l’aveva interpretata Charlie Daniels e l’ha scritta Don Sampson) è solida ma abbastanza comune, non vale Tennessee Whiskey. The Devil Named Music, per contro, è notevole, molto espressiva, intensa e struggente al tempo stesso. E’ una delle più belle (e Raphael fa di tutto per renderla ancora migliore). Outlaw State of Mind, grande titolo, è un buon brano, non la migliore del disco, ma un di quelle che contribuiscono a renderlo grande. La finale Sometimes I Cry è decisamente superiore. La sua origine è quasi legata ai suoni di New Orleans, tanto è imparentata con il blues, coi suoi stacchi e le sue ripartenze. Anche in questo brano la voce di Stapleton gioca un ruolo notevole, dando alla canzone una forma molto profonda e personale. Traveller: un debutto da ricordare.

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